To top
19 Gen

Last play at Shea Stadium

E’ ritornato nelle vetrine (fortunatamente non grazie alla compilation numero mille di canzoni romantiche) il più “italiano” dei cantautori d’oltreoceano. Questo progetto, coordinato e edito dall’etichetta Columbia Legacy, molto attenta, e specializzata in riedizioni pregiate di album storici, spesso di artisti non più attivi sulle scene, nacque in occasione dell’annuncio dell’imminente demolizione dello Shea Stadium a New York, che gli americani decisero di celebrare con tutti gli onori.

 

Nelle due serate estive del 16 e 18 luglio 2008 (quindi quasi tre anni orsono, ormai), davanti a un pubblico di 110.000 persone, il buon Billy, con l’aiuto di qualche amico fidato, diede l’addio al glorioso stadio di baseball, nel quale durante i decenni si erano esibiti, e scusate se è poco, i Beatles (nel 1965), gli Who, i Rolling Stones, Bruce Springsteen, i Clash e molti altri.”The last play at Shea Stadium” è il quarto album live della carriera del cantautore, e, bypassando serenamente gli ininfluenti “Millenium Concert” (2000) e “21 Gardens Live” (2006), viene edito a distanza di trent’anni dal suo primo, bellissimo, live intitolato “Songs in the Attic” (1981), che vi consiglio vivamente. Molte sono le analogie, e moltissime sono le ovvie differenze, tra i due lavori.

La prima analogia che salta agli occhi è che, trascorsi trent’anni, dopo complicati (e costosi) divorzi, incidenti stradali e molteplici tentativi di disintossicazione dall’alcolismo, è rimasta intatta nel vecchio leone (62 anni) la voglia di circondarsi di strumentisti italo-americani: siamo passati dall’insuperabile band degli anni ’80 (rappresentava un po’, se mi permettete il parallelo, la “E Street Band” di Billy Joel) formata dai vari Cannata, De Vitto, Mainieri, Spinozza (e prodotta da Ramone), a quella degli odierni Taliefero, Rivera e Burgi (e prodotta da Costentino).

Come fece quella di trent’anni fa, la contemporanea (ma solo “onesta”) band, aiuta Billy in alcune composizioni immancabili, tra le quali le epiche “Captain Jack”, e “The ballad of Billy the Kid”, la romantica “Summer, highland falls”, oppure la sempre potente “Miami 2017”, e l’ironica e autobiografica “Everybody loves you now”. E’ corretto segnalare che, nel lavoro che analizziamo oggi, sono state anche incluse le hit più “recenti” (“River of dreams”, “We didn’t start the fire”), le hit degli anni ’70 e ’80 (“My life”, “You may be right”, “Allentown”), qualche superclassico (“Pianoman”, “Scenes from an italian restaurant”, “New York state of mind”) e una rarità preziosa e affascinante come “Zanzibar” (che in “52nd Street” del 1978, era contraddistinta dalla tromba di Freddie Hubbard). Non hanno trovato spazio composizioni celeberrime come “Honesty”, “Just the way you are”, “Pressure” e “Movin’ out”, ma la lista dei capolavori di Billy Joel è talmente infinita che ci sarebbero voluti otto Cd live a contenerla, quindi, tutto sommato, possiamo perdonare chi decise la scaletta del concerto.

 

 

Il pubblico Newyorkese ha goduto dal vivo in quelle due serate di alcuni duetti inediti di grande rilievo, con John Mayer (“This is the time”, che in Italia si ricorda purtroppo come sigla di “Sentieri”), Garth Brooks (“Shameless”), Tony Bennett (“New York State of mind”), Steven Tyler degli Aerosmith (“Walk this way”), Roger Daltrey degli Who (“My generation”) e John Mellencamp (“Pink houses”). Ma è stato all’arrivo di Sir Paul McCartney (“I saw her standing there” e “Let it be”) che è scattata l’adrenalina (e qualche lacrimuccia), ed il concerto ha raggiunto le vette forse non più elevate, ma sicuramente più memorabili.

 

Il vecchio combattente, nato nel 1949 a Long Island, a poche miglia dallo stadio, si difende ancora più che bene e, nonostante il sovrappeso, il caldo che attanaglia New York City a luglio, e le corde vocali che non dimostrano più la perfezione di un tempo, riesce a regalarci quasi due ore di performances assolutamente notevoli (tra le quali è decisamente apprezzabile il ripescaggio, con bella sezione fiati, di “Keeping the faith”, da “An innocent man”, del 1983), scatenandosi sia CON il pianoforte (pestando i tasti), sia, addirittura, SOPRA il pianoforte (ballando, in piedi)…..In questo bellissimo packaging sono inclusi i due Compact disc del concerto completo, il Dvd del concerto completo (con bonus tracks), e un secondo Dvd (veramente interessante, e, udite udite, con i sottotitoli in italiano) contenente un film inerente New York, lo Shea Stadium, e gli eventi musicali e sportivi che lo hanno riguardato nei decenni. Consigliandovi caldamente l’acquisto (il prezzo è assolutamente limitato), termino con una piccola curiosità extra-musicale: il tutto è stato prodotto da Jon Small, che già nel 1968 (con gli “Hassles”) e anche in seguito (nel duo prog/metal “Attila” del 1970) suonava la batteria a fianco di Billy Joel. Quindi si tratta decisamente di amicizia autentica, che dura da ben quarantatrè anni, e che ha anche resistito anche al fatto che Joel sposò in prime nozze Elizabeth Weber (scrisse per lei “Just the way you are”: ecco perché solitamente non la esegue in concerto), che era l’ex moglie dell’amico.

 

Recensione scritta per il sito “DiscoClub”,

e pubblicata il 28 marzo 2011: la trovi qui in originale

No Comments

Leave a reply