Prologo
Fu una bella estate, quella del 1986. Non avevo organizzato nulla, perciò a luglio decisi ugualmente di prendere un treno in solitudine, per raggiungere prima Londra e poi Parigi, per due settimane di vacanza. Ricordo che appena arrivato nella capitale inglese, ascoltai per caso “Harlem Shuffle” dei Rolling Stones e acquistai la cassetta (“Dirty Works”) che poi mi accompagnò per tutta la vacanza. Al ritorno da Londra, dove avevo anche casualmente assistito alla Finale di F.A. Charity Shield allo Stadio di Wembley (trovate la cronaca e le fotografie di quella giornata qui), feci tappa a Dover, per visitare il Castello, e camminare sulle bianche scogliere. La prima notte cercai una sistemazione presso lo Youth Hostel, che all’epoca era al 305 di London Road, dove con fermezza mi rifiutarono l’accesso, in quanto non munito della tessera associativa.
Mentre cercavo con fatica di perorare la mia causa, intervenne una ragazza americana che aveva ascoltato la conversazione, avanzando la proposta di permettermi di entrare utilizzando la sua tessera. Fu la mia salvezza: alla reception accettarono il compromesso, e io, lei (Karen) e una sua amica (Kim) diventammo amici. Nei giorni a seguire si unì alla nostra compagnia anche Dave, un simpatico ragazzo del luogo, e ci divertimmo a visitare i dintorni, a scattarci delle fotografie, e a mangiare tutti insieme. A malincuore dovemmo poi dividere le nostre strade, perché ormai ognuno aveva preso i propri impegni: quindi io partii verso Parigi, mentre le ragazze ripresero il loro viaggio in Europa e Dave ritornò alla propria vita quotidiana. Karen ed io ci ripromettemmo di tenerci in contatto, e, possibilmente, di rivederci. Iniziammo una lunga serie di telefonate e di lettere, fin quando, l’anno seguente, io decisi di partire per una vacanza di quattro settimane negli Stati Uniti, e quella che segue ne è la cronaca. Tutte le fotografie sono mie, originali dell’epoca, e cliccabili.
New York, California, Nevada, Louisiana, Florida
Il 30 luglio 1987 arrivai all’ufficio immigrazione di New York. Avevo trovato un volo estremamente economico, della Jugoslovenska Aerotransport (JAT), che però mi aveva costretto ad una notte a Belgrado. Inoltre mi ero premunito di un biglietto aereo “USA Pass”, comunemente chiamato “stand by ticket” della Northwest Airlines, che mi avrebbe consentito di volare a mio piacere in tutti gli Stati Uniti e il Canada. All’aeroporto La Guardia di New York arrivai in ritardo, e persi l’aereo per San Francisco. Ricordo che in piena notte dovetti cercare una sistemazione di fortuna, e mi affidai ciecamente ad un tassista orientale, che, dopo infinite peripezie, mi scaricò in un piccolo, ma costosissimo albergo. Nel prezzo della camera era compresa una bella comunità di bestioline nere, che prosperava felicemente sotto una Bibbia, dentro il cassetto del comodino. La porta della camera non si chiudeva, quindi la sbarrai spingendole contro un armadio. Quella notte dormii vestito, senza nemmeno disfare la valigia, e tenendo un occhio bene aperto. Il giorno dopo riuscii a fare un velocissimo tour a piedi di New York: ricordo molto bene il Rockefeller Centre, Central Park, l’Empire State Building, la Radio City Music Hall e anche le Twin Towers: entrai soltanto nell’androne, ma adesso vorrei tanto esser salito fino in cima.
Giunsi a San Francisco, e quindi a Fremont, dove Karen mi aspettava, e fu molto emozionante incontrarci nuovamente. Mi presentò alla sua famiglia, e venne deciso che saremmo stati ospiti in un appartamento che suo fratello Craig aveva a Manteca, un sobborgo non lontano da Stockton. Una sera decidemmo di guardare un film. Lei fece una telefonata, e dopo qualche minuto apparvero come per magìa le immagini di “Wisdom”, un film con Emilio Estevez & Demi Moore, che era uscito a gennaio: scoprii solo quel giorno cosa fosse la Cable Tv. Anche le cose più banali, come questa, mi colpivano tanto. Tutto mi pareva bello, e, spesso, bello e molto strano. Tutto ciò di cui fino a quel giorno avevo solo sentito parlare, o che avevo visto nei film, adesso era a portata di mano, e per me, che sono estremamente curioso, era veramente interessante. Ad esempio, assaggiai per la prima volta il peanut butter spalmato sul pane bianco quadrato, e il latte al cioccolato. In seguito, arrivarono anche il cocktail Margarita e il cibo messicano, durante una divertente serata trascorsa insieme all’amica Kim presso una Steak House. Io e Karen andammo anche al cinema a vedere il film “Gli intoccabili”, che era uscito due mesi prima negli negli Stati Uniti, e che avrei rivisto cinque mesi dopo in Italia, e qualche volta in campagna, dove lei accudiva due meravigliosi cavalli della zia.
Durante i primi giorni, anche Craig contribuì a farmi scoprire i dintorni. Organizzò una gita a Sonora e al Columbia State Historic Park, dove è possibile visitare (anche a cavallo, volendo) una cittadina perfettamente conservata come nell’età della corsa all’oro. Quasi completamente in legno, si tratta di un villaggio originale del Far West, dove si distingue il St.Charles Saloon, che ci accolse per una bibita rinfrescante. Poco lontano visitammo anche la Firehouse, e prima della fine della giornata cercammo con successo le pagliuzze d’oro nell’acqua, armati di setaccio.
Il 3 agosto, durante una giornata in cui Karen dovette lavorare, visitai San Francisco, sotto un magnifico sole. Ricordo che mi godetti a pieno quella magnifica città, distesa sul mare. Vagai a lungo nel centro e a Chinatown, cercai Lombard Street, e mi regalai anche una lunghissima passeggiata (ne abbiamo trattato anche qui), costeggiando la baia sorvegliata dall’isola di Alcatraz: partii a piedi dal Pier39 e raggiunsi Fort Point, proprio sotto il Golden Gate Bridge. Fu una giornata veramente indimenticabile.
Durante quella vacanza, Karen si prodigò enormemente, per farmi visitare quanto poteva della California. In circa un’ora di guida da Manteca, raggiungemmo il Parco divertimenti Great America, che si trova a Santa Clara, vicino a San Jose. Provai l’ebbrezza di un altissimo Rollercoaster, e subito dopo pensai intelligentemente di dimostrare su un’altra terribile giostra tutto il mio italico coraggio, finendo per vomitare nascosto dietro ad alcuni cespugli. Un’altra volta invece, guidò per due ore, per farmi ammirare il Parco di Yosemite. Si tratta di un posto incredibile, di un vero trionfo della natura, dove nel bosco potemmo vedere Sequoie gigantesche, e provare la gioia di nutrire i daini in libertà, che con circospezione decidevano di darci fiducia.
Ricordo una splendida accoglienza da me ricevuta dalla famiglia Jones, soprattutto da Craig, da mamma Georgina (che bello, quando ci scattammo quelle bellissime fotografie in giardino, insieme al loro cane) e da nonna Gladys. Durante una giornata torrida, Karen guidò fino a Fresno solo per farci conoscere, e la ringrazio ancora, per avermi dato quell’onore.
Il rapporto con la famiglia ebbe uno sviluppo indimenticabile quando andammo tutti insieme in gita nel Nevada, dove è permesso il gioco ai Casinò. Il papà di Karen ci venne a prendere a Manteca, e poi guidò attraverso la parte est della California, passando Sacramento e costeggiando il fantastico Lago Tahoe, per arrivare a Sparks. Aveva generosamente prenotato camere per tutti, presso il John Ascuaga’s Nugget, a pochissimi chilometri da Reno: ai miei occhi quel Casinò sembrò una reggia. Si scendeva dalle camere con gli ascensori, e si accedeva a un immenso salone, dove era possibile giocare a qualsiasi tipo di azzardo, oppure ai lussuosi ristoranti e ai bar, alla piscina, o alla sala concerti, chiamata Celebrity Showroom, dove quell’estate si esibirono anche Donna Fargo, Dottie West (che sarebbe tragicamente mancata solo quattro anni dopo) e gli Sha Na Na, che avevano suonato nell’album “Grease”. Giocai alla slot machine, perchè era la cosa più semplice, e capii di aver vinto qualcosa, quando suonò una sirena, ed arrivò un guardiano molto serio, a verificare la vincita. In breve tempo però persi quello che avevo vinto, terminando la giornata in pareggio.
Tornati in California, il 10 agosto decisi di partire, e con enorme emozione raggiunsi New Orleans, nella lontana Louisiana. Quei luoghi avevano sempre rappresentato per me, appassionato di musica, un sogno che ritenevo irraggiungibile. L’idea di arrivare nella patria del blues e del jazz mi riempiva il cuore, i polmoni ed il cervello. Come sempre mi capitò durante quella vacanza, avevo l’adrenalina a mille. Subito mi precipitai al Vieux Carré, e cercai Bourbon Street. Mi persi in quella via e nelle vie adiacenti, mettendo il naso in ogni angolo. Ovunque sentivo musica, e scelsi il locale dove alla sera avrei ascoltato musica live. Entrai e mi impadronii di un tavolino vicinissimo al palco. Dopo alcune sessions di jazz, in tarda serata arrivò quello che sembrava essere l’artista principale: un chitarrista cieco, di colore. Avevo davanti a me una birra che bevevo a piccoli sorsi, per farla durare il più possibile. Riuscii a farla durare per più di un’ora: la performance fu emozionante e alla fine mi precipitai sul palco, e, senza ritegno, abbracciai il chitarrista, come se fossimo amici da una vita.
Il mattino seguente mi imbarcai su uno storico battello a vapore (di quelli con la grande ruota posteriore) chiamato Jean Lafitte, per una crociera di due ore sul fiume Mississippi. Il pranzo era incluso, quindi gustai una Jambalaya mentre a pochi metri un quartetto suonava musica jazz. Davanti agli occhi mi passarono prima le immagini della città, e poi gli splendidi e selvaggi paesaggi del Delta del Mississippi. Quella sera lasciai la Louisiana e New Orleans, e presi l’aereo per Miami, in Florida. Non ero molto convinto di quella destinazione, ma avevo voglia di vedere una bella spiaggia, e di farmi qualche lunga nuotata. Non ho moltissimi ricordi di quella località, tranne che mi piazzai in un Motel 6 attrezzato con uno strano materasso ad acqua, e che il televisore trasmise un lungo special sul film “La bamba”, che era appena uscito nelle sale. Il motel non era troppo lontano da Miami Beach, e mi godetti la spiaggia, come desideravo. Non scattò un grande amore, e dopo soli due giorni decollai verso il Canada, ben determinato a vedere le Cascate del Niagara.
Il 14 agosto, giunto sul posto, mi resi conto che purtroppo la macchina fotografica Vivitar si era inceppata tempo prima: quando scattavo una fotografia, la incidevo su quella precedente: il rullino non avanzava. Entrai in un negozio, per chiedere aiuto: aprirono la macchina in camera oscura, ma il responso fu che tutte le fotografie dei giorni di San Francisco, del Nevada, di New Orleans e di Miami erano andate perdute. Fu un bruttissimo colpo, ma la bellezza del posto riuscì a sollevarmi il morale: ringrazio di averlo visto, almeno una volta.
Ammirai le Cascate del Niagara da ogni lato, e anche dall’altissima Minolta Tower, dove comprai una T-shirt, che conservo ancora oggi come un cimelio. Poi, non contento, mi regalai il “Maid of the mist tour”. Coperti da un sottile impermeabile, ci si imbarca su un battello che avanza il più possibile verso il fronte della cascata, apparentemente fin sotto la massa d’acqua che precipita con un rumore pazzesco. Chi, come me, ha scelto di stare all’esterno, immancabilmente si bagna dalla testa ai piedi. Vi assicuro che trovarsi vicinissimi a quell’enorme e fragorosa massa d’acqua mi fece un’impressione indescrivibile, facendomi sentire veramente piccolo.
Fino a quel momento, il mio biglietto aereo si era rivelato un notevole successo: la condizione per volare era che dovevo attendere al check-in del volo prescelto, e, solo nel caso di posti rimasti invenduti, io potevo salire. Riuscii a salire ogni volta, tranne che dopo le Cascate del Niagara, per raggiungere Memphis, in Tennessee, e rendere omaggio a Elvis Presley. Quella volta stazionai all’aeroporto di Buffalo per tutto il giorno e per tutta la notte, mettendomi in coda, e vedendo decollare molti aerei, senza poter mai salire. Scoprii solo in seguito che erano proprio i giorni del decimo anniversario della morte del cantante, avvenuta il 16 agosto 1977.
Finalmente Karen ottenne le ferie, quindi ritornai in California, e decidemmo di raggiungere Los Angeles in auto. Con la colonna sonora della cassetta di “The Joshua Tree” degli U2 (e soprattutto di “One tree hill”, che era la nostra canzone preferita), la Nissan Sentra rossa targata TIKKI 2 ci condusse con decisione per oltre 500 chilometri, fino alla città degli Angeli, dove dormimmo in un motel con il parcheggio di fronte alla camera. Il 19 agosto entrammo gioiosamente a Disneyland, per una giornata all’insegna del divertimento. Il 1987 fu l’anno del lancio del film 3D di Francis Ford Coppola intitolato “Captain EO”, prodotto da George Lucas ed interpretato da Michael Jackson: dopo una lunga coda per entrare al Magic Eye Theater, finalmente assistemmo al film, ricco di effetti speciali mai visti: poltrone che si muovevano, luci laser, fumogeni, spruzzi d’aria e acqua. Anche se non l’ho mai raccontato a nessuno, sono quasi certo che alla mia destra ci fosse seduta l’attrice Whoopy Goldberg.
Il giorno seguente lo dedicammo tutto a Los Angeles. Attraversammo Beverly Hills e Rodeo Drive, quindi guidammo su per la collina fino all’Hollywood Sign, per scattare qualche fotografia a noi e anche a TIKKI2. Quindi scendemmo in centro, per una passeggiata sul Hollywood Boulevard, dalla Walk of Fame al Cinese Theatre. In una via laterale, acquistai per pochi centesimi di dollaro il vinile a 33 giri usato di “Minute by Minute” dei Doobie Brothers, solo perché mi piaceva la canzone “What a fool believes”
Al termine di un lungo viaggio, ritornammo al nostro appartamentino a Manteca, ed io iniziai a preparare le valigie, visto che la vacanza era ormai giunta al termine. Come ricordo, ricevetti in regalo una felpa, un cappellino e una penna dei San Francisco 49ers e la cassetta di “Joshua Tree” degli U2, ma non ce n’era bisogno, perché quello che tutti loro mi avevano trasmesso era già veramente importante e indimenticabile.
Il 25 agosto 1987 inviai a mia sorella da New York l’ultima di una lunga serie di cartoline, che, insieme a biglietti d’ingresso e altri reperti archeologici mi hanno aiutato a ricostruire per me e per voi la cronologia di questo viaggio, e, dopo un volo aereo che mi parve infinito (nonostante la proiezione del film “Il segreto del mio successo”, con Michael J.Fox), atterrai in Italia.
Come forse avete vissuto insieme a me leggendo questi ricordi, quel mese negli Stati Uniti fu un’avventura indimenticabile, ricca di esperienze, di accadimenti e di conoscenze umane che senza dubbio porterò nel cuore, negli occhi e nella mente per il resto dei miei anni.
Fu un sogno che divenne realtà.
Osservando le mie mani, ho visto granelli dei ricordi cadere tra le dita, uno dopo l’altro, e andare perduti per sempre. Con questo contenitore magari ne salverò qualcuno, per chi, in futuro, sarà interessato a capire cosa io fossi.
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