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31 Mar

Agnese, dolce Agnese

La prendo un po’ alla lontana, ma vi prometto che arriveremo presto al punto, cioè alla recensione di questo capolavoro di Ivan Graziani, edito nel 1979.

Nel 1972, quindi all’età di nove anni, avevo un bel mangiadischi colorato. I vinili li custodivo dentro un classificatore, dopo aver intelligentemente buttato via tutte le copertine, e li ascoltavo a ripetizione.

I miei preferiti erano due 45 giri, estremamente diversi tra loro: il primo si intitolava “I was Kaiser Bill’s batman”, ed era un brano di qualche anno prima, precisamente del 1967, molto allegro, non cantato, ma solo fischiato, da un tizio inglese che si chiamava “Whistling” Jack Smith.

Il secondo disco era, molto stranamente, l’inusuale “La tragedia di Milena”, di Franco Trincale, uscito proprio in quel periodo. Considerato che durante gli anni ’60, e fino a metà degli anni ’70, era molto comune la narrazione su vinile di fatti di cronaca nera, l’efferato omicidio della giovane e ricca Milena Sutter, consumato a Genova, venne immediatamente trasformato dal cantastorie siciliano in quella melodrammatica incisione che, in qualche modo, mi incantava.

L’informazione pubblica all’epoca era affidata ai giornali (che però non tutti sapevano lèggere), alle poche trasmissioni televisive (solo RAI 1 e RAI 2, e solo alla sera) e alle pochissime stazioni radio. Quindi un cantastorie come Franco Trincale assurgeva a ruolo di divulgatore, e di amplificatore, di accadimenti straordinari, per alcuni fin troppo lontani.

Ciò descritto, il disco “Agnese, dolce Agnese” di Ivan Graziani, che ascoltai nel 1979 grazie all’amico Giampiero Forchini (alcune vicende del quale vi consiglio di leggere qui), mi ha sempre fatto pensare, fatte le debite proporzioni, ad un parallelismo, appunto, con tali cantastorie: con la sua scrittura, con le sue parole, con la sua intonazione particolare, e con la sua meravigliosa chitarra, Ivan desiderava, secondo me, raccontarci delle storie, “solo” (si fa per dire) raccontarci delle storie, nulla di più: e ci riuscì meravigliosamente bene.

Vi traccio brevemente, qui di seguito, quattro esempi di quanto intendo:

– Il batticuore di ragazzino che decide di rubare in un autogrill ? Ecco la narrazione:“Questo me lo piglio, tanto nessuno mi sta guardando. Vergogna, vergogna, Madonna che vergogna! Chi è quel tipo là che sta venendo verso me? E il cuore, e il cuore, mi batte nel cervello: che faccio? Resto qui, chiedo scusa oppure scappo? Le scuse, le scuse è comodo scusarsi, non sei altro che un ladro, e adesso pagherai”.

– La disillusione di chi sogna una vita entusiasmante, ma deve confrontarsi con la “semplice” realtà ? Ecco la narrazione: “E forse dopo canteremo, a squarciagola canteremo: a sedici anni correre senza fiato è dolce… Illuso, romantico e fesso – lui mi rispose – i fuochi di cui stai parlando sono fari puntati sul campo, dei trattori che stanno trebbiando”

– Il dramma della gelosia, e della vendetta, in un gruppo musicale ? Ecco la narrazione:“Susy non aveva fatto i conti con l’altra, con l’altra e con la gelosia, con l’altra e con la gelosia: così che quando smise di cantare, il destino l’aspettava dentro al camerino. E prima che lei capisse, una forbice tagliava i suoi capelli”

– E patire la fame, quella vera, quella imbarazzante, quella che ti fa tenere gli occhi bassi ? Ecco la narrazione: “Hai chiesto soldi a un amico, mostrando nude le tasche, e hai ingoiato l’imbarazzo, dicendo: “Scusa, sono sotto” Hai mai sentito conficcate nella schiena le frecce dell’ironia? E la vergogna ti ha fatto mai tremare, pensando “La morte tua è vita mia”. No ? In nome della fame ho ammazzato le illusioni, piegando le ginocchia, ho sfruttato le occasioni, e ho lavorato come un pazzo a cose in cui io non credevo, lasciando che morisse l’erba che io calpestavo”.

Queste erano storie, accadimenti di tutti i giorni, vicissitudini di gente comune, gente che magari tenta, senza esserne nemmeno capace, di rubacchiare, gente che si illude, gente che invidia, gente che si vendica con cattiveria, gente che finisce in miseria, e magari prova molta vergogna.

Non si tratta di uno stile narrativo aulico, non è una poesia di altissimo livello, ma è una roba forte, consistente, pratica, reale, dove non trovano mai spazio le rime cuore-fiore-amore. E’ una narrazione cruda (provate ad ascoltare “Dada”) e a tratti crudele: ecco, qui sotto, la copertina dell’album, con una signora di classe, che rovista nella spazzatura. Una narrazione simile a “La tragedia di Milena”.

 

 

Inoltre in tutto l’album, compresi i quattro pezzi che vi ho portato ad esempio (“Veleno all’autogrill”, “Fuoco sulla collina”, “Canzone per Susy” e “Fame”) la chitarra di Graziani raggiunge livelli incredibili: sa piangere, e sa ridere, sa urlare, ma sa anche sussurrare. Era certamente un chitarrista straordinario: non a caso, oltre che nei suoi album, suonò con Herbert Pagani, con la P.F.M, con Lucio Battisti, con Francesco De Gregori e con Antonello Venditti, solo per citarne alcuni.

Graziani, coaudiuvato dai fidati Gilberto “Attila” Rossi, Walter Calloni, Bob Callero, Fabrizio Moschini e Claudio Maioli, completò quell’irripetibile album con l’inserimento anche dei pezzi “Taglia la testa al gallo”, Il piede di San Raffaele”, Doctor Jeckyll e mister Hyde”, “Agnese”, “Il prete di Anghiari” e “Modena Park”, dopodichè lo portò orgogliosamente in tournee nei teatri italiani.

Fortunatamente nel frattempo l’amico Giampiero mi aveva convinto ad acquistare il long playing, e anche ad andare insieme a lui ad assistere al concerto, programmato presso il bellissimo Teatro Margherita di Genova (a proposito, se siete interessati a scoprire le attrazioni turistiche e culinarie della città, potete cliccare qui).

Quella sera il teatro era purtroppo semivuoto. Riempivamo a stento le prime quattro file, e Ivan, salito sul palco, esclamò senza fronzoli: “cazzo, pochi, ma buoni !”, quindi attaccò la musica, ma uno dei teli bianchi che formavano una specie di rudimentale scenografia, si inceppò malamente, rimanendo a mezza altezza, prima di essere vistosamente tirato giù a forza da un attrezzista. Il concerto iniziò molto male, ma in seguito fu assolutamente entusiasmante e, per noi due, indimenticabile. Il chitarrista ed i suoi fidati amici diedero tutto il gas che avevano, come se stessero suonando in uno stadio, davanti ad una folla sterminata.

Prima di “Agnese, dolce Agnese”, Ivan Graziani aveva composto, cantato e suonato altri quattro album (“La città che io vorrei”,”Ballata per 4 stagioni”, “I lupi” e “Pigro”), ed aveva continuato ovviamente a produrne in seguito: non intendo adesso elencarli tutti, ma, qui sotto, in ordine cronologico, trovate i suoi pezzi che personalmente mi hanno segnato di più, come se fosse una sorta di mio “Greatest hits”. Se li ascolterete, mi direte il Vostro parere

1976: “E sei così bella”

1977: “Lugano addio”

1978: “Monna Lisa”, “Sabbia del deserto”, “Paolina”, “Pigro”, “Scappo di casa”

1979: “Fame”, “Veleno all’autogrill”, “Fuoco sulla collina”, “Canzone per Susy”

1980: “Olanda”, “Dada”, “Siracusa”, “Radio Londra”

1981: “Digos Boogie”

 

Ivan Graziani morì il 1° gennaio 1997, a soli 51 anni, chiedendo di essere seppellito insieme alla sua fidata chitarra Gibson, e al suo giubbotto in pelle. Concludo questa recensione conservando la convinzione che egli non abbia raccolto i frutti di quanto seminato, e che non abbia purtroppo ottenuto tutto il successo che avrebbe meritato. Continuo a pensare che scrivesse dei grandi, bellissimi testi, molto attinenti alla realtà che viveva, e che noi viviamo, ogni giorno. Oltre ad essere stato, senza dubbio alcuno, uno dei migliori chitarristi italiani. E’ vero, gli è stato reso omaggio, a lui intitolando una via nel Comune di Castellalto, in provincia di Teramo, e con due tributi postumi (“Per sempre Ivan” del 1999 e “Tributo a Ivan Graziani” del 2012), ma mi pare ben poca cosa.

4 Comments
  • Cristiano Corradini

    Io leggo.. e a prescindere dall’argomento del quale normalmente non conosco nulla.. rimango affascinato.. #anamazingstoryteller

    2 Aprile 2019 at 7:20 Rispondi
  • Fabrizio Papotto

    Stefano, come già ti ho scritto sui social hai una rara sensibilità nelle descrizioni, soprattutto per quel che riguarda la musica. E sono più che d’accordo con te sulla incredibile capacità di Ivan Graziani di raccontare delle storie quotidiane intime, sofferte, a tratti dure o nostalgiche, in qualche caso elegiache, come nella canzone “Signora bionda dei ciliegi”, quella che io amo di più di Ivan. Solo lui riesce a raccontare con frasi così efficaci il momento della scoperta del sesso mantenendo il senso di ingenuità di un adolescente di fronte alla prima esperienza sconvolgente della propria vita e contemporaneamente il rimpianto per la stessa adolescenza ormai perduta. Al di là di questo, vorrei raccontarti un episodio che mi coinvolge personalmente. Purtroppo non ho mai visto Ivan Graziani in concerto, ma venne a suonare a Cecina (dove abito) nel 1977 o 1978. Io ancora non lo conoscevo se non per un paio di hit e quindi decisi di non assistere allo show. Ma mezzora prima dell’esibizione venne insieme alla band al bar dello stabilimento balneare che frequentavo e tutti insieme si misero a giocare come forsennati al calcio balilla ridendo e divertendosi come ragazzini. Ecco, forse la magia di Ivan Graziani era racchiusa in questo spirito, in questa semplicità

    1 Ottobre 2019 at 21:51 Rispondi

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